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  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 ottobre 2011
 
di Paolo Sorrentino, con Sean Penn, Frances McDormand, Harry Dean Stanton, David Byrne (Italia, 2011)
 
Quindici minuti sorprendenti. Il tempo di prendere le misure di un Sean Penn che sfida magari anche bravamente i confini del situarsi sopra le righe: nei panni, nel frattempo già divulgati a dovere dai media di mezzo mondo, di una gotica ex rockstar ispirata al Robert Smith dei Cure. Ma, soprattutto, enfatizzata da ciprie e rossetti, messe in piega e ciglia false: inesorabilmente riprese a fior di pori epidermici dai clamorosi primissimi piani che l'estroversa regia di Paolo Sorrentino predilige da sempre.

L'autore dei più che ammirevoli UN UOMO IN PIU', LE CONSEGUENZE DELL'AMORE o IL DIVO ha sempre messo la notevole qualità estetica del proprio sguardo (alla Antonioni, Leone, Wenders, per intenderci) al servizio di personaggi e vicende stimolanti in quanto eccentriche, provocatorie testimonianze di solitudini umane. Pure qui, dietro la sontuosa attenzione dedicata agli ambienti, affiora un'indubbia tenerezza per gli esseri che li abitano. Solo che, dopo una prima parte girata nella sontuosa dimora del cantante a Dublino, magari statica, ma pur sempre esaltata da quel senso dello spazio scenografico, o dalla scelta delle musiche che Sorrentino intuisce a meraviglia, agli autori pare essere venuta la buona idea di legare il rock all'Olocausto. La deriva barocca fra supermercati e piscine del pensionato di lusso, che si muta in vendetta nei confronti di un aguzzino nazi che ad Auschwitz aveva umiliato il padre. Operazione azzardata, anche per un esteta di raffinato talento come Sorrentino: che, puntualmente, affida la sua road movie negli States alle preziose, ma insomma repertoriate inquadrature fotografiche di Luca Bigazzi. Ad una esuberanza prevedibile nel rituale dei motel, coffee bar e lingue d'asfalto fra i cactus del deserto che già hanno fatto la gioia (ma con altra puntualità storica, ideologica, poetica) di molti cineasti europei.


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